works

Giuseppe Gallo. Symphonie en trois mouvements

Galerie di Meo, Parigi

30 maggio - 12 luglio 2008

“L’occhio ascolta” scriveva il vecchio Claudel. Quando si esimeva dal tessere i suoi pensum oscuri, il drammaturgo diplomatico vedeva spesso giusto: l’occhio prova, l’occhio sente, l’occhio palpa, l’occhio gusta. I sensi coesistono in armonia e, come tutti gli organismi, non possono sopravvivere indipendentemente dagli altri. Ogni odore ha il suo proprio sapore; ogni suono la sua violenza.

Quanto alle immagini, alle icone, esse risuonano, cantano, gridano.

Noi, tristi omuncoli, non siamo, in fondo, che i riflessi del cosmo. I nostri conflitti, così come le nostre osmosi, portano l’eco delle nostre grandi sorelle le galassie.

Questa armonia del microcosmo e del macrocosmo, Giuseppe Gallo la osserva con il fervore tipico di un saggio. Degno erede degli alchimisti del Rinascimento, egli prosegue la sua ricerca di una grande opera plastica, dove le vertigini del numero d’oro e dell’athanor possano unirsi all’arte più contemporanea. Sguardo di veggente o missione di retroguardia, poco importa, visto che il lavoro di Gallo non si limita ai logaritmi ed alle costruzioni intellettuali e sterili. Proprio come i discepoli di Ermete Trismegisto, che respiravano la natura, di primo mattino, nel mezzo delle alte erbe dei tempi antichi, raccogliendo l’acqua lustrale e le radici misteriose, Gallo è un cacciatore della forma oscura. Tumida, turgida, spesso multicolore, la sensualità è sempre presente nella sua arte.

La sua serie di Foglie proponeva una sontuosa arborescenza cromatica, una sorta di labirinto vegetale insanguinato da un fervore rosso fulvo. Ancora una volta, l’artista si appropriava della natura stessa (cosa c’è di più semplice, di più banalmente affascinante di un intreccio di foglie?) per posarvi il suo sguardo. Trasfigurazione del quotidiano, gli alberi versione Gallo diventavano delle sinfonie dai toni ingarbugliati, proprio come le trame di un’opera musicale.

Era quindi naturale (necessario?) che l’artista si interessasse un giorno o l’altro all’arte suprema (in quanto assoluto impalpabile, soffio degli angeli): La Musica.

Con la stessa acutezza, la stessa attenzione per le curve nitide e le forme appuntite, Gallo tenta oggi di trasporre il fluido, il trasparente, l’immateriale in immagini. Ma parleremo qui meno di immagini che di visioni. Come gli alberi che ricreava, l’artista lascia crescere in lui le radici della musica, che si spiegano, si sviluppano e sgorgano dal suo corpo (dai suoi sensi) sotto forme multiple e sempre inattese.

Queste tematiche non riassumono forse il lavoro di Giuseppe Gallo? Un’arte che parla senza imporsi, che non rinnega né il piacere, né la seduzione immediata, e che riesce così ad arrivare sino al cuore. 

Insomma, un’altra definizione della musica.

 

Nicolas d’Estienne d’Orves