Percorso amoroso vede per la prima volta riunite assieme la produzione scultorea di Gallo di questi ultimi due decenni con l‘aggiunta di alcuni inediti tra i quali spiccano per le grandi dimensioni il gruppo bronzeo di Percorso amoroso (2004) ed il Filosofo melancolico (2004), due pietre militari all’interno della sua fertile produzione artistica.
Giuseppe Gallo, che della pittura ha fatto uno strumento di poesia quotidiana, ha praticato, sin dagli inizi, la scultura con curiosità e senza fretta, con la naturalezza del passo inevitabile, sebbene in apparenza casuale ed irriverente. La scultura è insita nell’opera di Gallo come fosse scaturita dalle profondità del disegno per poi entrare come atto logico e naturale nello spazio. Metamorfosi impalpabile di associazioni visive, sagome lievi affiorate in superficie, apparizioni in miniatura, coagulazioni, evocazione oniriche, incanti e rapimenti, ma allo stesso tempo forza magnetica e rigore, caratterizzano l’intera sua produzione. Per Gallo, il quesito, sotto queste molteplici forme, è sempre aperto. Egli è filosofo, il Filosofo del 1986 o forse quello più “melancolico” del 2004 ma è anche e ancora l’incantatore satiresco che dominava il suo Flauto magico alla Biennale di Venezia (1990).
“Le sculture dovrebbero essere rivoltate come un cappello” poiché “sono fatte per guardare il cielo, per parlare con esso e raccontare storie che superino il silenzio dell’angoscia” ha scritto Gallo. Ciò accade lungo il percorso ricreato attraversando le diverse stanze della mostra. Racconti muti e fulminei quali Autoritratto (1992) o Utopia (1991) succedono a canti di enigmi irrisolti, come nella serie Tempus edax rerum (1993-96) dedicata alle 24 ore del giorno o in quella de Il cielo dei Re (1992). Nel confine tra linguaggio artistico e pura interrogazione, laddove l’aveva tracciato Boetti, avviene il “salto” che porta agli inaspettati profili di piccole cose in proiezioni di ombre estenuate dalla Foglia di fico (1991) al Bastone (2004).
In Percorso amoroso, inizio, fine e metafora dell’avventura, l’utilizzo del mezzo scultoreo -nell’esplorazione del femminile e del maschile tramite gli opposti del concavo e del convesso - crea un legame ed un dialogo ideale con la straordinaria tradizione scultorea del passato, reinterpretata e rivissuta attraverso l’immaginario e la sinteticità segnica dell’artista, in bilico tra continuità e sperimentazione, con allusioni alle primitive simbologie che qui si alternano e comunicano tra di loro lungo il muro-membrana. Il passo ed il gesto di danza, spesso fortuitamente presenti nel linguaggio artistico di Gallo, hanno qui una forza trainante, pur nella loro ineffabile leggerezza. Il bronzo, con la sua energia pulsante e vitale, come una pelle sempre diversa e tesa, assorbe e rigenera la luce. Le sagome delle figure si stagliano maestosamente all’orizzonte in controluce, quasi un miraggio nel deserto. A mezzogiorno del 14 febbraio, un raggio di luce, penetrando attraverso una piccola ferita sullo scudo trionfante proteso verso il cielo, segna il giorno di San Valentino. Laddove, invece, il visitatore è invitato a sedersi, in un’attesa metaforicamente confessionale, un’altra piccola fessura tonda permetterà ad una bocca di sussurrare da una parte, ad un’orecchio di ascoltare dall’altra, nell’eterna enigmatica dualità del confronto Yin-Yang.
Tutti i temi tesi e stratificati tra immaginario universale e mitologia personale che hanno attraversato il linguaggio pittorico di Gallo sono qui ripresi e sviluppati con una rigenerata intensità connessa alla magia e alla imprevedibilità della tecnica scultorea, costituendo un ulteriore ed affascinante tassello nella costruzione di un percorso che conduce al sogno dell’arte, nello scontro (o incontro), reale e metaforico, tra luce e ombra, tra maschile e femminile.
La suddivisione delle opere, riunite secondo un criterio tematico anziché cronologico, vuole rispettare e sottolineare la circolarità e la fluidità dell’iter artistico di Giuseppe Gallo costituendo una sorta di Atlas biografico all’interno del quale non il tempo contingente è determinante, né il suo progredire ma tutto ciò che per definizione è atemporale, dai sogni, ai piaceri, alle dissonanze sino all’assurdo dramma e quesito dell’esistere.